Un viaggio in una canzone. Un viaggio attraverso la danza. Oggi, un viaggio in uno spettacolo teatrale. E’ il percorso di Abdulrahman, protagonista in “Finestre”, lo spettacolo teatrale e di danza che si svolgerà domani, dalle ore 16.30, presso il Centro Interculturale di Torino.
E’ nato in Guinea Conakry, paese africano francofono, ma parla un ottimo inglese acquisito durante la sua permanenza di soltanto un anno in Libia, aspettando un barcone per l’Italia. “Tante volte per la strada, e non solo, mi prendono per nigeriano perché parlo l’inglese e mi piace cantare”, racconta sorridendo Abdulrahman, 19enne guineano.
L’inglese l’ha aiutato ad avvicinarsi alla sua passione, la musica hip-hop, tantoché all’inizio della primavera ha registrato “Africa”, la sua prima canzone hip-hop in inglese.
Con soltanto lo smartphone di seconda mano regalato da un amico e un beat generico scaricato online, Abdulrahman è riuscito a imprimere la sua voce su un pezzo di tre minuti e mezzo.
“Africa è sul sogno africano di arrivare in Europa e tutte le difficoltà che un profugo deve affrontare, step-by-step, durante il suo viaggio verso l’Europa. E’ la mia vita degli ultimi 3 anni, prima di arrivare in Italia”, spiega Abdulrahman.
Non solo nel suo playlist, anche davanti alla sindaca di Torino
All’inizio di settembre, Abulrahman ha avuto l’occasione di esibirsi con la sua performance davanti alle autorità della Città di Torino, durante l’Open Parri, l’inaugurazione dei giardini Parri, in seguito ai lavori di volontariato svolti dagli ospiti del centro di accoglienza A.M.M.I., nell’ambito del progetto Torino Spazio Pubblico dell’Assessorato all’Ambiente. “Ringraziamo i ragazzi per il lavoro svolto, per quello che hanno fatto per la città. L’iniziativa nella zona Parri concretizza una forte integrazione sociale”, hanno dicharato i rappresentanti della Città di Torino.
Leggi i dettagli dell’attività di volontariato qui: TORINO, ANCHE LA LORO CITTÀ
Dopo “l’Africa”, Abdulrahman ha creato anche altri pezzi, come “Mamma” che racconta il dolore per la perdita della madre, all’età di 14 anni.
Oltre la musica, Abdulrahman ha un forte interesse anche per la recitazione, che l’ha sperimentata sin dal suo paese di origine, Guinea. “Un giorno, ero per strada, scherzando con i miei amici. Uno di loro mi ha detto che io potrei fare il comico. Sono andato a Conakry, ho iniziato un corso di recitazione, ma mi sono fermato perché non avevo i soldi per pagarlo”, si racconta Abdulrahman.
Ora, in Italia, è riuscito a riavvicinarsi alla sua passione. Tra il tirocinio presso un autolavaggio di Torino, i corsi di italiano, il calcio con la squadra A.M.M.I. e l’attività di volontariato per la Città di Torino, Abdulrahman frequenta anche un corso di danza e di teatro presso il Centro Interculturale.
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Durante la dimostrazione finale del progetto Melting Pot, lo spettacolo “Finestre”, Abdulrahman, come gli altri partecipanti, racconterà la sua storia, attraverso le “finestre che si spalancano su paesaggi interiori e sociali”. Chi sono io? Da dove vengo? Di cosa ho bisogno per vivere bene?, sono le domande a cui i protagonisti della performance proveranno a rispondere in modo poetico e ironico, presentando dei ricordi della propria vita, dell’identità personale e del significato della parola CASA.
“Finestre” si svolge nell’ambito di Melting Pot, un progetto promosso e ideato dal Centro Interculturale e dalla Fondazione Teatro Ragazzi e Giovani Onlus, con il sostegno della Città di Torino, Direzione Servizi Sociali – Servizio Stranieri e come parte dell’iniziativa Hopeland del sistema SPRAR.
Abdulrahman è richiedente di protezione internazionale in Italia e ospite del centro di accoglienza dell’Associazione Multietnica dei Mediatori Interculturali (A.M.M.I.) da un anno e mezzo. E’ arrivato in Italia a luglio 2016, dopo un viaggio di quasi tre anni dalla Guinea fino alle coste di Lampedusa.
Si ricorda poco, a frantumi, le date del suo lungo e difficile viaggio, ma ha ben chiaro il duro periodo trascorso in Libia, insieme a suo zio di cui non ha più notizie dall’ora. “So che faceva molto caldo quando sono partito. Ero insieme a mio zio. In Libia anche i bambini sono armati e ti chiedono soldi. Ho lavorato per i libici un anno, ma non ho mai visto i soldi”, racconta Abdulrahman, 19 anni.
Lo zio è rimasto in Libia fino a luglio di quest’anno quando, “stanco di sperare e di aspettare un barcone per l’Italia”, è tornato in Guinea. Sono riuscito a rimettermi in contatto attraverso i miei amici da casa, dopo un anno di pausa”, spiega Abdulrahman.
Il percorso di Abdulrahman è solo uno dei tanti modelli di inclusione, convivenza e integrazione all’interno dei centri di accoglienza per i richiedenti di protezione internazionale. L’arte, nelle sue diverse forme – musica, danza, recitazione o pittura – rappresenta un ottimo strumento per superare l’introversione, la paura oppure le differenze socio-culturali degli stranieri neoarrivati in Italia.
Ana Ciuban